Un “emerodromo extraterrestre”! 246 ore e 10 minuti per 38 Km a nuoto, 1.800 in bici e 422 di corsa, il DECA IRONMAN SWISSULTRA 2017, “prova” della World Cup di Ultra Triathlon
L’Emerodromo era presso i Greci e i Romani un corriere pubblico capace di riferire notizie e messaggi percorrendo lunghe distanze ogni singolo giorno, correndo a piedi naturalmente. L’emerodromo più famoso della storia è sicuramente quel Filippide del quale ci parla Erodoto nei suoi manoscritti, ma lo fanno anche Pausania, Plutarco, Luciano e Plino il Vecchio nei loro componimenti.
Secondo la tradizione, Filippide, un emerodromo Ateniese appunto, avrebbe percorso a tutta velocità la distanza che separa Maratona da Atene per annunciare la vittoria( Nenikèkamen!: “Abbiamo vinto!”, in greco antico) dei 10.000 Ateniesi guidati dal Generale Milziade, e da 1.000 Plateesi, contro gli invasori Persiani, nel 490 a.C., per poi stramazzare al suolo sfinito dall’impresa. Da qui la famosa competizione olimpica che si svolge sulla lunghezza di Km 42,195, la Maratona, in onore di quell’evento.
Che il povero Filippide (o come si chiamasse: per qualcuno era Fidippide, per altri Tersippo, ma pure Eucle…..) fece quella finaccia, non è cosa certa, anche se avesse corso quel giorno con l’armatura addosso (cosa, tra l’altro, che aveva disposizione a fare su tragitti ancora più lunghi). Gli emerodromi erano dei veri e propri atleti, allenati come oggi definiremmo i professionisti delle corse di resistenza, i “Fondisti”, capaci di percorrere tragitti 5/6 volte più lunghi di quelli di Maratona/Atene. Infatti, sempre Erodoto, racconta che lo stesso Filippide, prima della battaglia, fu inviato a Sparta per chiedere soccorsi, e lui corse i 225 (240?) chilometri (la distanza tra Atene e Sparta) in un solo giorno o poco più, dunque…..
Al di là di come siano andate realmente le cose, uomini capaci di “imprese impossibili” ce ne sono sempre stati, maaa…….ma questi delle Ultra Triathlon non se regola!….ahahah…….
Anche Alberto, tramite la sua impresa, ha consegnato un importante messaggio che vedrete anche in una foto (indossa una t-shirt con su una scritta), ad un anno esatto dalle scosse che hanno devastato un terzo delle strutture e delle abitazioni della regione Marche, con più di 30.000 sfollati:
“Il terremoto non ci ferma. FORZA SAN SEVERINO MARCHE”.
Bene! Prima di scrivere ciò che Alberto m’ha raccontato qualche giorno fa quando ci siamo incontrati proprio nella sua San Severino, sapete che faccio?
Sparo il suo Curriculum Sportivo, tanto per darvi un’idea sul personaggio…ahahah….E’ più lungo di tutto l’articolo, ma vale la pena dargli una scorsa, anche veloce:
Alberto Cambio:
nato a Lucca il 19 gennaio 1968,
vive a SanSeverino Marche (MC)
e mail: almigia@alice.it
PATTINAGGIO A ROTELLE di velocità
Anni dal 1976 al 1987
Tesserato con la Federazione FIHP (ROTELLISTICA SETTEMPEDA):
Partecipazione a tutte le più importanti manifestazioni nazionali, Coppa Italia e Campionati Provinciali, Regionali e Nazionali.
36 Medaglie d’oro tra Campionati Provinciali e Regionali.
7 volte Vincitore Assoluto del Campionato Regionale su strada e su pista. 11 Trofei Nazionali vinti.
24 volte Finalista ai Campionati Italiani (14 volte tra i primi 10)
Anno 1981
Medaglia di bronzo Coppa Italia su pista.
Anni 1984 – 1985 – 1986
Primo Assoluto Campionati Regionali strada e pista. Sesto posto assoluto “Sei Giorni Rotellistica”.
Quinto posto Campionato Italiano Indoor. Quarto posto Campionato Italiano Pista.
ATLETICA LEGGERA
Anni dal 1983 al 1991
Tesserato con la Federazione FIDAL (CUS MACERATA):
Partecipazione a Campionati Provinciali regionali e Nazionali in varie specialità.
Anno 1984
Secondo Posto Campionati regionali di Marcia 10 Km: (Primato Sociale)
Anno 1985
Ottavo Posto Campionati Nazionali di Staffetta 4×400 Categoria Junior.
Anno 1986
Campione regionale 400 mt. categoria Junior.
Anno 1987
Campione regionale 400 mt. Ostacoli Categoria Junior.
Ottavo Posto Campionati Nazionali di Staffetta 4×400 Categoria Junior.
Anno 1990
Secondo posto Campionati regionali di Decathlon.
Anni dal 2011 ad oggi
Tesserato con la Federazione FIDAL (SEF MACERATA):
Partecipazione a Campionati Provinciali regionali e Nazionali in varie specialità Master.
Anno 2012
Secondo posto Campionati Italiani Staffetta Svedese. Terzo posto Campionati Italiani Staffetta 4×4.
Anno 2013
Terzo posto Campionati Italiani Staffetta 4×4. Campione Italiano Staffetta Svedese.
Anno 2014
Campione Italiano Staffetta 4×400 SM50
Quinto Posto Campionati Italiani Indoor 400 mt. SM45 Campione Regionale 400 mt. SM45
Anno 2015
settimo Posto Campionati Italiani 400 mt. Campione Regionale 400 mt. SM45
CICLISMO
Anni dal 2007 ad oggi
Tesserato con TORMATIC di San Severino Marche:
Dal 2008 al 2010 completate tutte le tappe del Circuito Marche Marathon.
CALCIO
Anni dal 1984 al 2004
Tesserato con TORMATIC di San Severino Marche:
Militato in diversi Campionati di Calcio Regionale.
TRIATHLON
Anni dal 2006 ad oggi
Tesserato con la Federazione FITRI (OLIMPIA CAMERINO):
Anno 2006
Esordio al duathlon sprint di Misano Adriatico
Anno 2007
19° posto assoluto al duathlon sprint di Formello
Anno 2008
2° posto cat. M1 (8° posto assoluto) al duathlon supersprint di Monterotondo 4° posto cat. M1 (14° posto assoluto) al duathlon sprint di Rieti
7° posto cat. M1 al duathlon sprint di Parma
Anno 2009
Partecipato al campionato italiano di duathlon Sprint di Rimini
9° posto cat. M1 (49° posto assoluto) al triathlon 70.3 (Half Ironman) di Rio Marina (Elba) Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2010 Partecipato al campionato italiano di duathlon Sprint di Noceto Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2011
Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2012 Partecipato al campionato italiano di duathlon Sprint di Tirrenia Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2013
Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2014
2° posto cat. M2 al triathlon sprint di Porto Sant’Elpidio Finisher IRONMAN EMBRUMAN (FR)
Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2015
5° posto cat. M2 al Campionato Italiano di duathlon classico no draft di Rivergaro (PC) Finisher IRONMAN HANNOVER (GER)
Finisher IRONMAN ELBAMAN
Anno 2016 Finisher IRONMAN VENEZIA (Best time 10h 47’) Finisher IRONMAN ELBAMAN (Best time 12h 35’) 2° posto cat. M2 classifica DOUBLE IRONMAN
9° posto assoluto TRIPLO IRONMAN (world cup) di Bad Blumau (AUT) con il tempo di 43h 05’ Parziali : nuoto 3h 59’ , bici 20h 41’ , corsa 18h 08’
Anno 2017
17° posto assoluto DOUBLE IRONMAN (world cup) di Emsdetten (GER) con il tempo di 26h 53’.
7° posto assoluto DECA IRONMAN (World Cup) di Buchs (SUI) col tempo di 246h, 10
Ore 16,30 di un giovedì qualsiasi. Ci sediamo ad un tavolo di un bar sotto un porticato. Per festeggiare l’incontro facciamo cincin con due flute di prosecco (anche gli alieni bevono prosecco…ahahah….).
“Alberto, non so quali domande ti farò, ma una ce l’ho in testa da quando ci siamo sentiti la prima volta al telefono:… PERCHEEE’???”
“ahahah…..E’ la domanda che m’hanno fatto quasi tutti dopo che sono tornato, ma tutti, proprio tutti, prima che partissi per la Svizzera…ahahah….
E’ normale che mi e ci si ponga questo interrogativo , perché una persona “normale” non può arrivare a capire perché un uomo debba affrontare un’avventura del genere. Oh, attenzione! Io la chiamo avventura, ma chi viene a sapere quello che ho affrontato la chiama pazzia!
Provo a spiegarti: l’ho fatto per una mia carenza, sì!
Nonostante avessi già raggiunto buoni risultati nella mia carriera sportiva, non mi sentivo un super eroe, anzi, sentivo il bisogno di migliorarmi, di acquisire, di imparare cose nuove che mi sarebbero state utili nella vita di tutti i giorni, e vuoi sapere una cosa? Sono tornato a casa con un bagaglio di conoscenze doppio rispetto a quello che pensavo. E’ stata un’avventura incredibilmente educativa.”
“Sì, ok! Capisco bene che dopo un’avventura del genere, come la chiami tu, si provi un po’ le stesse sensazioni di un astronauta quando torna dallo Spazio. Sono sentimenti che forse non si riescono nemmeno a descrivere; bisogna viverli e in qualche maniera rassegnandosi al fatto che non si possono raccontare completamente, e fino a qui c’arrivo, ma mi manca sempre il: Perchééé?”
“ahahah….Ok, ok, partiamo un pochino da più lontano allora.
Dopo sposato e la nascita del figlio c’è stato un anno/un anno e mezzo durante il quale avevo decisamente trascurato la preparazione fisica e le gare in generale. Sai com’è, la tensione di essere genitore per la prima volta, i nuovi impegni, le nuove responsabilità m’avevano distratto da quello che avevo sempre fatto sin da bambino: sport. Ovviamente avevo messo su dei chili di troppo, mi sentivo fuori forma, sia fisica che mentale, mi mancava qualcosa alla quale ero abituato insomma, il che mi procurava un certo malumore.
Un giorno, parlando con un amico, mi disse: – Perché non vieni ad allenarti con me? Facciamo qualche gara di Triathlon. –
Corsa a piedi e in bici già le conoscevo perché praticate per decenni, ma il nuoto era per me completamente nuovo, comunque mi misi a testa bassa e iniziai gli allenamenti. All’inizio disputavo solo gare di Duathlon, nel nuoto non riuscivo ancora molto bene (ancora oggi mi considero scarso!). Dopo un po’, dato che nella doppia disciplina andavo abbastanza bene (avevo fatto anche qualche podio), decisi di affrontare anche il Triathlon, sapendo della mia modesta preparazione in acqua. L’unico sistema per non sfigurare fu quello di scegliere gare di “gran fondo”, di lunga percorrenza, dove il nuoto conta un po’ meno rispetto a corsa e bicicletta, e così affrontai il mio primo Mezzo Ironman. Dato che andò bene, lo stesso anno disputai l’Ironman Completo, qui in Italia, all’Elba, che non è tra i più semplici perché c’è parecchia salita (in bici, come passista vado forte, come scalatore un po’ meno), ciò nonostante feci un ottimo piazzamento.
L’Elba mi stregò! E’ un posto bellissimo e bellissima è anche quella gara, così mi convinsi che l’Ironman sarebbe stato il mio futuro. Da quella volta ne ho fatti 11, di tutti i tipi.
La progressione naturale era di approdare nel mondo degli Ultra. Sempre “per colpa” di altri amici dell’Olimpia Camerino, circa tre anni fa, mi convinsi di tentare la prova del Triplo Ironman. Partito senza grosse velleità, con mia grande sorpresa andai fortissimo, battendo atleti che avevano scritto gli Albi d’Oro di questa specialità in Italia, in Europa, e anche in ambiti Mondiali.
Al di là dell’incoraggiante risultato, quello fu l’ennesimo step, più che altro a livello umano, oltre che sportivo naturalmente. Scoprii un universo fatto d’amicizia, di solidarietà, d’intesa reciproca, chiamiamola complicità, sentimenti che nelle “normali” competizioni te li sogni. Io che ho praticato ciclismo per tanti anni, un avversario che ti sta vicino, se puoi, lo butti dentro al fosso. E così in quasi tutti gli altri sport, dove l’individualismo e la manifestazione dell’Io è la regola Nelle competizioni di routine non troverai mai quel clima magico, speciale, unico che c’è nel mondo degli Ultra.
Ti faccio un esempio che penso sia significativo. Ero partito un po’ “sguarnito” economicamente; a parte qualche piccolo aiuto di qualche amico, non avevo trovato sponsor che sostenessero la mia – avventura -: – Abbiamo già dato dei soldi alla squadra di calcio – era la risposta più ricorrente, fatto questo che mi ha portato quasi ad odiare il gioco del pallone, io che ho calzato le scarpe con i tacchetti per una vita. Già il dover affrontare le spese di viaggio e dei 18 giorni di soggiorno in Svizzera (molto cari!) avevano portato il mio budget al limite, dunque non è che mi potessi permettere ulteriori uscite. Sì, avevo un assistente dell’organizzazione che mi seguiva, a volte due, ma non potevo permettermi un fisioterapista personale, per esempio (oltre quello messo a disposizione dalla Federazione che aveva il suo ben da fare): con cosa l’avrei pagato che di denaro non ne avevo? Beh!…Più di una volta me l’hanno prestato quelli che pensavo fossero i miei avversari (in realtà, compagni di viaggio). M’hanno aiutato in tutto! Non immagini quante volte mi sono messo a piangere dalla commozione. Devo dire grazie a tutti!
Sono situazioni che non penseresti mai d’incontrare. Tra di noi dicevamo: – Stiamo combattendo una guerra contro un nemico invisibile e spietato – mentre magari di notte correvamo sotto una pioggia battente e il freddo faceva scricchiolare le ossa. Ce l’avremmo fatta finché fossimo rimasti compatti: tutti per uno, uno per tutti….Tu pensa, tutto questo mentre si svolgeva una gara, una competizione di Coppa del Mondo, dove gli “interessi” erano altissimi, eppure…Sono rimasto affascinato e sbalordito. Affascinato perché finalmente mi sono trovato a vivere quello che ho sempre pensato dovesse essere l’ambiente dello sport, fatto soprattutto di solidarietà. Sbalordito perché tutto avrei potuto pensare, meno che poter vedere realizzato questo mio sogno in una delle più esasperate manifestazioni sportive esistenti sul pianeta. Ti dico anche questo: appena sono tornato a casa ho pensato subito a quale prossima manifestazione vorrò partecipare. Magari non sarà un altro Deca Iron, ma un altro Ultra Triahtlon lo farò, perché in questo mondo fatto di gente speciale ci voglio rimanere. E’ letteralmente un altro pianeta.”
“Quando hai iniziato a raccontarmi, Alberto, hai esordito dicendo: – Sono partito per imparare alcune cose, sono tornato avendone imparate il doppio. – Vorrei sapere in cosa consiste questo – doppio -. Un’altra cosa che mi piacerebbe tu mi raccontassi sono le crisi. Sicuramente ne avrai avute, e posso solo immaginare di quale entità. Me ne parli?”
“Partiamo dalle crisi: ne ho avute tantissime, sia fisiche che mentali, che via via aumentavano d’intensità. All’inizio soprattutto fisiche. Già nella prova d’esordio, nel nuoto, al 20° chilometro ho accusato l’insorgere di un dolore lancinante ad una spalla. Non riuscivo più ad alzare il braccio. Ero partito con il braccio destro un po’ menomato, per via di un vecchio trauma. Per non farlo lavorare troppo ho forzato il sinistro e forse, anzi, senza forse, ho fatto peggio. Per arrivare al 38° chilometro ho patito le pene dell’inferno: gli ultimi 4 chilometri l’ho fatti con un braccio solo e ho temuto anche di dovermi ritirare. Ho tribolato veramente come un dannato, pur tuttavia il tempo segnato è risultato discreto. Però psicologicamente avevo preso la prima schicchera, la prima di una lunga serie.
Uscito finalmente dalla vasca avrei dovuto iniziare immediatamente la frazione in bici, cosa che invece feci 5 ore dopo la prova di nuoto. Non riuscivo neanche a salire sulla bicicletta, tanto era il dolore al braccio. Dopo una serie di massaggi, pomate e qualche cerotto antidolorifico, appena il dolore si è affievolito leggermente, mi sono fatto legare il braccio al corpo ed ho iniziato a pedalare. Mano a mano che procedevo le fitte si facevano sempre meno violente, così arrivato alla seconda notte, reso euforico dal miglioramento, anziché dormire un pajo d’ore come avevo preventivato, ho tirato dritto fino al mattino. Questa è una cosa che dico sempre: subito un grosso trauma, tutto quello che arriva dopo è buono. Non può essere diversamente. E’ un teorema valido nello sport, come nella vita di tutti i giorni.
Durante tutta la frazione in bici puntualmente qualche crisi compariva, specialmente di notte. Due temporali bestiali e lunghissimi c’avevano menato ben bene, costringendoci a cambiarci ogni volta che facevamo una sosta per alimentarci ed assumere gli integratori, ma tutto sommato erano momenti di debacle che pedalando riuscivo a metabolizzare.
Le cose si sono fatte veramente toste con l’ultima frazione: la corsa a piedi. C’arrivi dopo 6/7 giorni massacranti durante i quali hai dormito pochissimo, ti sei alimentato come hai potuto e non sempre regolarmente. Il sole di giorno e il freddo delle notti, la pioggia, i dolori che aumentano i punti d’attacco, fino alle sopracciglia. Anche gli indumenti che indossi creano disagio; le endorfine che ti inducono in uno stato di mezza follia, il metabolismo che va sottosopra, però devi mantenere la tua lucidità, la capacità di non farti assalire dal demone della rinuncia, e in ogni caso sconfiggerlo. Devi trovare la via di smaltimento più veloce per allontanare l’acido lattico che vorrebbe farti diventare una statua di sale (Anche in quel caso qualche cazzata l’ho fatta, dovuta all’inesperienza. Vedevo qualcuno dei più esperti che ogni tanto smetteva di correre e saliva sulla cyclette, ma non capivo perché. Poi m’hanno detto che serviva per sciogliere la muscolatura ed eliminare il lattato…Esperienza!).
Percorsi i primi 50 chilometri c’avevo male dappertutto, specialmente dolori tendinei, i peggiori, quasi non riuscivo più ad appoggiare un piede, e sai che per terminare la gara t’aspettano altri 370 chilometri. Quelli sono momenti durante i quali o impari presto a reagire, o torni a casa, vanificando il sangue che hai sputato fino a quel punto. Non so con precisione come ho fatto, ma ho cominciato a correre sopra il dolore. Detta così è semplice, metterlo in pratica non tanto. Devo dire che m’hanno aiutato molto le terapie alle quali mi sottoponevo ogni sera, grazie ai medici e ai massaggiatori dell’organizzazione, ma penso che il contributo più sostanzioso me l’abbia dato una donna, un’atleta che anche lei disputava la gara. Piena d’acciacchi peggio di me, una sera, mentre eravamo stesi sui lettini dei fisioterapisti, mi sorrise alzando il pollice della mano destra e poi disse: – Fuck off! -….Vaffanculo i dolori!
Quell’espressione mi caricò all’istante. Psicologicamente fu una bomba energetica da lanciare contro il dolore e annientarlo quasi totalmente, io che non sopporto il minimo disturbo (C’è mi moje che me porta in giro perché me lamento sempre, anche per un raffreddore….ahahah….).
Iniziai così a non dare più importanza a quei sintomi che avrebbero voluto che io abbandonassi. A 150 chilometri dal traguardo comparve l’ennesimo problema tibiale, un vecchio trauma che pensavo di aver sconfitto con delle cure fatte qualche mese prima, e che in allenamento non si era più presentato, invece…(su 30 chilometri che facevo in allenamento non compariva più, ma dopo 300….).
Il fatto è che a certe competizioni non ci si presenta mai preparati abbastanza, non si può. Ogni volta è un terno al lotto. Se devi fare una maratona, per esempio, la provi e la riprovi quante volte la vuoi, ma nelle gare come il Deca Iron l’allenamento è la gara stessa. Impensabile una preparazione completa preliminare. Se ci provi ti rompi prima della gara.
Mi rimanevano 150 chilometri o poco meno. Sapevo che in un giorno li avrei potuti percorrere e tagliare il traguardo, ma non riuscivo più ad appoggiare il piede, neanche da fermo. Non sapevo più che fare per sfiammare quel maledetto tendine. Cortisone od equivalenti non ne potevo prendere perché considerati doping, ed altri metodi non ne conoscevo. Sono stato salvato dall’equipe dei Francesi! Un loro massaggiatore era un ex rugbyista che di certi problemi ne aveva avuti a bizzeffe. Mi fece dei trattamenti con delle pomate che sapevano di canfora (la precisa composizione di quell’unguento non l’ho mai saputa), poi mi fasciò la gamba con delle bende, dopodiché dormii per un pajo d’ore, forse tre (più che altro “svenivo”). Tanto non potevo neanche camminare, tanto valeva riposarsi.
Al risveglio stavo meglio. Mi alzai e provai ad appoggiare il piede. La – magia – aveva funzionato. Mi rimisi in marcia e il giorno dopo finii la gara, grazie ai Francesi!
Veniamo ora alle cose che ho imparato.
Se ti dicessi che il risultato finale non mi dà delle grandi soddisfazioni, ti direi una bugia. Essere uno dei 103 atleti (solo 6 Italiani) che in 25 anni hanno portato a termine il Deca Iroman Swissultra è indubbiamente una grande gioia, ma che non posso attribuire solo alle mie capacità. Devo per forza, per onestà, condividere con tutti i 16 compagni di – Avventura – che hanno terminato la gara questo risultato, nonché con i loro staff, in più con gli amici con i quali comunicavo per 30 secondi la sera tramite whatsapp , e in più ancora con mia moglie che ogni volta, per telefono, mi trasferiva un’energia insperata. Per questo ti dicevo che non mi sentivo e non mi sento tuttora un supereroe. Per terminare una competizione del genere ti devi aggrappare a tutto; chiunque è capace di infonderti coraggio e sostegno per andare avanti, e questa consapevolezza prima di partire non ce l’avevo, non la conoscevo.
Probabilmente, anzi sicuramente, l’importanza di questi apparentemente piccoli sostegni psicologici erano ben noti agli organizzatori della manifestazione sin dalla prima edizione. C’è una regola basilare che non si può eludere. Ogni atleta che taglia il traguardo deve, ripeto – deve -, prendere la bandiera del proprio Paese di provenienza, indossarla come un mantello sulle proprie spalle e percorrere un tratto di percorso a ritroso, incrociando gli atleti che ancora devono arrivare per trasferire in loro forza e coraggio per farli terminare.
Questa regola fantastica ha fatto sì che ho pianto di dolore per 6 volte durante i 10 giorni che ho impiegato per concludere la competizione, e 100 volte di gioia al mio ultimo giro, grazie agli abbracci, agli incitamenti, ai baci tirati da tutti quelli che mi venivano incontro. Piangere insieme al Campione del Mondo che piange con te sono emozioni da vivere, non ho parole per raccontartele.
Ho imparato ad avere pazienza, io che non ce l’ho mai avuta.
Ho imparato a confrontarmi ad armi pari con il dolore, io che mi lamentavo di tutto.
Ho imparato il valore della solidarietà universale, senza la quale si è solo poveri uomini. L’importanza dell’amicizia che scaturisce dalla condivisione delle difficoltà. La forza del pensiero positivo e collettivo, che tutto ti fa superare.
E ho anche imparato, purtroppo, a tenerle per me certe emozioni, perché nella routine di tutti i giorni difficilmente incontri gente capace d’intendere cosa renda sacra una vita. Sono pochi quelli che hanno capito.”
Avevo un pajo di pensieri per concludere questo racconto di Alberto, ma preferisco non scriverli. Chiudo così. Le sue parole non hanno bisogno di nessun commento.
Grazie Campione!…Un abbraccio e a presto
Mamo
(La foto di Alberto nella piazza di San Severino l’ho fatta io. Le altre le ho scaricate dal suo profilo fb)