VIVERE ACCANTO ALLE GRANDI MENTI: Oriana Salvucci

Inutile forzare la natura delle cose, e tanto meno delle persone. Non si deve, e non si può.
Ho visto crescere i miei figli per telefono, ma non provo alcun senso di colpa, perché una colpa non ce la vedo, non c’è. Svolgevo un’attività che mi piaceva molto, ma mi portava costantemente in giro per il mondo, dunque il tempo da dedicargli era quello dei miei rientri. Stavo un giorno, un giorno con loro. Stavo un mese, un mese con loro. Questo potevo fare, per me e per loro.

Credo fosse domenica, comunque un giorno festivo. Con Diego e Andrea ero a pranzo in un ristorante.
Parlando delle nostre cose, Diego, che era al quinto anno delle superiori, mi fece una domanda:
“Papà, che dici? Ho un amico che è iscritto ad architettura e m’ha detto che è una facoltà molto interessante. Un altro è nei cadetti; diventerà ufficiale ed ingegnere. Sono due percorsi che mi piacciono, però sono indeciso. Che mi consigli?”
“Vuoi un consiglio Die’?…Va bene. Uno di questi giorni, quando hai tempo, recati in un posto che ti attira. Mare, campagna, montagna, dove ti piace, l’importante che tu sia solo. Fatti una bella passeggiata, minimo due ore, poi siediti da qualche parte, su uno scoglio, su un prato, sotto un albero, e poniti questa domanda: cos’è che mi piaceva fare da piccolo?…Quello devi fare.
Le poche volte che ho seguito i consigli di chi presupponeva di saperne più di me ho toppato alla grande. A me non importa se sarai uno spazzino o un astronauta, non esiste un’attività più nobile di un’altra, è una pura invenzione della stupidità umana questa. L’importante, invece, è che tu sia felice di quello che farai, altrimenti sarà un calvario per tutta la vita, per questa vita che devi attraversare.
Non ascoltare né mamma, né me, e tanto meno gli esterni. Ascolta te stesso e fa’ quella cosa lì.”

“Oriana…un evento dietro l’altro…non ti fermi un attimo.”

“Sì, è vero, però mi piace tanto. E’ un amore, un amore ritrovato.
A volte la vita ci allontana dai luoghi familiari facendoci percorrere strade che non avremmo mai immaginato, forse per saggiarci, per metterci alla prova. Probabilmente sono deviazioni necessarie per comprendere chi siamo, qual’è la nostra vera funzione sopra il grande palcoscenico.
Il mio è stato un itinerario per certi versi anomalo.
Affascinata dal pensiero dei grandi uomini, da quel che ricordo da sempre, da ragazza frequentai la facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Roma. Il giorno della discussione della tesi fui valutata 110 su 110, ma non ottenni la lode. Mi sconvolse. Avevo sempre provato un grande trasporto per le arti e le lettere, ed ero fermamente convinta che quello doveva essere il mio ruolo nel mondo, da protagonista. Il mancato riconoscimento della lode per il mio lavoro annichilì all’istante tutte le mie speranze. Quella commissione distrusse ogni mio sogno. Mi sentii completamente svuotata.
Distrutta nell’animo, m’impiegai in un ufficio marketing di una casa editrice. Io che sognavo di scrivere poesie mi ritrovai a gestire situazioni commerciali di cui non avevo mai sentito parlare. Nonostante non fosse la mia massima aspirazione, oggi posso dire che fu un’esperienza interessante. Forse era scritto che dovessi passare di lì. Durò circa sette anni.
Nel frattempo avevo stretto contatti con alcuni editori marchigiani, e questi rapporti mi permisero di avvicinarmi gradatamente a casa. Dopo tante esperienze da free lands pensai fosse giunto il momento di avviare uno studio tutto mio, che ormai gestisco da 17 anni.
Gli incarichi che mi affidavano le aziende, oltre l’insegnamento nelle scuole, occupavano molto del mio tempo, ma non trascurai mai di soddisfare la continua voglia di cultura che mi pervadeva, intesa come conoscenza dell’Infinito che ci circonda. Se provi una passione, come fai a distaccartene?”

“Così hai creato i tuoi salotti.”

“ La storia è nata un po’ per caso. Mi sembra fosse il 1999 o il 2000, io con gli anni non ci prendo molto. Un’amica, allora presidente di Confindustria Giovani, mi chiese di organizzare un evento che facesse da contorno alla manifestazione che si sarebbe tenuta per il passaggio di consegne, dato che il suo mandato stava per scadere. Fui entusiasta dell’idea e mi misi subito all’opera. Dopo quell’esperienza volli sperimentarmi in una mia iniziativa.
La rassegna la intitolai “Non a voce sola”. Un percorso di conoscenza all’interno del pensiero femminile. Poesia, filosofia, narrativa, arte e musica, tutto al femminile. A quella seguì “Parlare futuro”, un laboratorio dell’avvenire, mediante il quale mi piace esprimere il concetto che il domani dipende dalle nostre scelte, una possibilità per ri-pensare il nostro rapporto con l’esistente. “Fermo sui libri” è un evento dedicato al libro come metafora, come simbolo, come attivatore di pensiero. Da quest’anno “Loreto percorsi”, un incarico affidatomi dalla gestione comunale. Sta riscuotendo un favore di pubblico sopra ogni più rosea aspettativa.
Credo che il successo di quello che sto facendo, anzi, di quello che stiamo facendo, io e i miei collaboratori fidatissimi, sia dovuto alla magnificenza degli ospiti presenti alle manifestazioni. Intellettuali della cultura contemporanea, filosofi, economisti, registi, musicisti e quanto di meglio ci si possa augurare come sostegno per il proprio spirito. Oltre tutto ciò curo anche alcune pubblicazioni per la Regione Marche. Mi do’ da fare insomma….”

“Forse quella lode non ti avrebbe dato così tante soddisfazioni.”

“Non lo so, non posso saperlo, ma quello che faccio adesso mi piace tanto.”

Quando Diego aveva quattro anni, la sera prima del suo primo giorno d’asilo, ero seduto su una poltroncina in giardino con lui sopra le mie gambe. Mentre me lo coccolavo gli dissi:
“Domani Dedo vai a scuola, stai diventando un ometto. Che farai da grande? Lui ci pensò su un attimo, poi: “L’ingegnere dei giocattoli.” Sorrisi e gli diedi un bacetto grosso grosso. Pensai che quella risposta fosse dovuta al fatto che spesso gli insegnavo come costruire qualche divertimento: un arco, una spada, un carretto, una casetta….
Da un po’ non mi vedo con Diego e Andrea, per le normali ragioni che si stabiliscono tra padri e figli, specialmente se sono maschi. Non ci nascondiamo dietro un filo d’erba. Quando i caratteri sono forti, qualche attrito c’ha da sta’. Quando padre e figlio vanno pienamente d’accordo, o è un coglione il padre, o è un coglione il figlio, o peggio ancora tutti e due.
Mi giungono comunque notizie sul loro esistere, e so che stanno bene.
Dedo sta portando avanti i suoi studi d’ingegneria alla grande. Vuol dire che sta facendo quello che gli è sempre piaciuto, che è l’unico sistema per essere felici con se stessi. Prima o poi vorrò vedere i suoi giocattoli, saranno belli.

Mamo