RESISTO,…DUNQUE SONO: Jarno Calcagni

Percorsi di montagna lunghi anche 200 chilometri, 4/5000 metri di dislivello, discese affrontate a 70 Km/h tra alberi e roccia, cambi di clima repentini, sotto un sole cocente e bufere di neve.
Questa è la mountain bike e Jarno Calcagni è il Campione Europeo 2014.

Ho scelto questo titolo prendendolo in prestito da un libro scritto da Pietro Trabucchi.
Determinati sport non possono essere praticati se non si è dotati di una notevole accettazione dello stress e del dolore. Ho conosciuto diversi campioni di sport e, al di là delle discipline, mi hanno tutti raccontato che per raggiungere certi livelli i muscoli non bastano.
Nascere con una particolare costituzione o una particolare predisposizione all’atto sono sì importanti, ma non determinanti. Ciò che distingue un buon atleta da un campione è un bicomponente essenziale: testa e cuore.

“Parlando tempo fa con un amico ciclista che ti conosce bene ho scoperto che sei figlio d’arte Jarno.”

“Sì, direi che se ad un certo punto ho preso la bicicletta sul serio lo devo a mio padre. Fin dall’infanzia sono stato circondato da biciclette. Lui da giovane correva in moto. Un giorno ebbe un grave incidente e il medico che lo curava gli consigliò di praticare il ciclismo per la riabilitazione.
All’epoca aveva 28 anni, ora ne ha 65 e esce ancora quasi tutti i giorni.
Nel nostro garage non sono mai mancate le bici e io, come tutti i piccoli, ho iniziato a scorrazzare prestissimo.

Visto che andavo sciolto, quando avevo 12 anni papà mi iscrisse ad un gruppo sportivo con il quale mi allenai tutto l’inverno, ma non partecipai a nessuna gara con quei ragazzi. Uscire con loro lo consideravo un puro divertimento, un gioco.
L’arrivo del motorino, due anni dopo, decretò un lungo periodo di riflessione.
Sai com’è!….gli amici, l’adolescenza, le prime ragazzette, le prime sigarette….sì, ogni tanto uscivo in bici o facevo qualche altro sport ma molto all’acqua di rose, diciamo che alle competizioni non ci pensavo proprio per niente.

A 19 anni qualcosa scattò. Era un I° Maggio, stavo disputando una partita a calcetto con alcuni amici quando a metà partita dovetti fermarmi a bordo campo per respirare. In quell’istante un solo pensiero mi attraversò la mente: BASTA!
La sera tornai a casa e scaraventai il pacchetto di sigarette nel secchio della monnezza. Il mattino dopo scesi in garage e presi una delle mountain bike di mio padre, e anche se m’andava un po’ stretta per la mia statura iniziai a pedalare. Iniziai a uscire 3, 4 giorni a settimana per riacquistare fiato e tono muscolare.

Dopo alcuni mesi, sempre coinvolto dagli amici, mi iscrissi ad una gara di ciclo turismo alla quale anche loro avrebbero partecipato, l’ultima di quella stagione. Al traguardo arrivai 3°.
Quel risultato mi gasò a tal punto che decisi di allenarmi seriamente per la stagione successiva. Iniziò così un periodo lungo 6 anni durante i quali partecipai a tantissime gare ottenendo ottimi piazzamenti.”

“Se andavi così forte, come mai hai deciso di passare dalla strada ai fossi?”

“Qualche gara di mountain bike la facevo anche all’epoca, dunque già conoscevo anche quella specialità, ma il motivo che determinò la scelta è la mia natura di spirito libero. Non sopporto le palle al piede e tanto meno i compromessi. Quando gareggi in una squadra ti impongono delle direttive, devi sottostare alle decisioni dei tecnici, accettare insomma di essere manovrato e questo contrasta con il mio carattere.
Senza dubbio quegli anni m’hanno regalato tanta esperienza ma la mia indole mi costringeva ad una certa autonomia, di pensiero principalmente, e con la mountain bike lo potevo fare.”

“Questo vuol dire che ancora oggi corri da privato?”

“Un po’ sì un po’ no, nel senso che ci sono delle aziende alle quali sono legato per l’aspetto tecnico, fabbricanti importanti che mi forniscono bici e tutto ciò che serve ad un atleta per correre, ai quali devo tutta la mia gratitudine ovviamente, ma la scelta delle gare alle quali partecipare spetta solo a me, anche perché le trasferte me le devo pagare da solo. In ogni caso questo mio modo di fare non è in contrasto con gli obiettivi degli sponsor perché nelle gare più importanti ci sono, e quando ottengo grandi risultati il beneficio è anche per loro.

Questa autonomia mi concede pure di trascorrere tutto il tempo con la mia famiglia. Tanti partono per le gare anche per allontanarsi da casa, a me invece piace condividere quei momenti con mia moglie e mio figlio. E’ così che ho conosciuto altri atleti italiani e stranieri che la pensano come me, e con loro trascorriamo delle brevi vacanze in occasione delle gare.”

“Quando ti sei laureato Campione Europeo a Bad Goisern, in Austria, che effetto ti ha fatto?”

“Vincere la medaglia d’oro è stata una gioia grandissima, ma la soddisfazione più grande è derivata da come l’ho vinta.
Ero reduce da una mononucleosi che mi aveva costretto ad una completa inattività per 3 mesi e mezzo. Quando me la diagnosticarono fui assalito da uno sconforto che non ti dico. Era da tanto tempo che mi stavo preparando per quell’appuntamento e stavo rischiando di mandare tutto all’aria. Cercai con le forze che mi rimanevano di trovare un aspetto positivo nella vicenda, e forse proprio quella stasi forzata mi permise di prepararmi al meglio psicologicamente.

L’esperienza mi ha ormai convinto che il 60/70% di qualsiasi vittoria lo si deve alla forza mentale. La macchina, l’apparato fisico, funziona solo se la testa è a posto, altrimenti non ci sono muscoli che tengano.
A quella gara erano iscritti tutti i più forti bikers europei ma sapevo che uno in particolare era l’uomo da battere. I primi ¾ di gara li abbiamo percorsi praticamente attaccati, uno dietro l’altro. Ad un certo momento lui ha cominciato a tirare a vita persa provando a creare un gap per distanziarmi.
Sicuramente è lì che ho vinto. Per alcuni chilometri l’ho lasciato andare. Ho intuito che stava forzando oltre modo e non volevo cadere nella sua trappola, non dovevo. Nella mia testa c’era l’ultimo strappo dove sapevo poter fare la differenza, dunque dovevo risparmiare energie per quella salita…e infatti…c’è arrivato spompato, e lì l’ho superato fino ad arrivare primo al traguardo.

Sai cosa insegna questo sport, e lo sport in generale? A conoscere se stessi. A trovare le forze che albergano dentro di noi per affrontare il quotidiano.
Nella vita di tutti i giorni molti sono schiacciati dai problemi, non riescono a reagire, non vedono vie d’uscita, quando invece se si è mentalmente preparati le soluzioni si trovano, una soluzione c’è sempre.”

“Si ricordano meglio le sconfitte o le vittorie?”

“Decisamente le sconfitte, perché è dalle sconfitte che impariamo qualcosa. In ogni caso, quando termino una corsa e mia moglie viene ad abbracciarmi, la domanda che mi fa è: – come stai? –
Se le rispondo – bene! – lei sa che ho dato tutto me stesso, anche se magari sono arrivato secondo o terzo. La vittoria è soltanto la ciliegina, è tutto il proprio impegno che fa la torta.”

Dato che non mi sono fatto mancare niente, o quasi, quando avevo una trentina d’anni ho partecipato alla Dolomitenlauf a Lienz, una gara di fondo con gli sci, una 60 Km.
Dopo qualche giorno m’è arrivato a casa il diploma e i risultati classifica. In alto, sull’attestato, c’è scritto: “Jeder ein sieger uber sich selbst”……ognuno è vincitore su se stesso.
Ci vediamo presto Jarno, così mi racconti altre storie. Un abbraccio Campione!

Mamo