REAZIONE A CATENA (2): Start Level

I consigli di Michele Lambertucci per meglio orientarsi nell’acquisto della bici più adatta alle proprie esigenze.

 

Non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate per loro: la libertà!
(Dal film Easy Rider)

 

Un po’ di storia…poca poca!

Quando un’idea, un’invenzione, una scoperta “esplode”, tutti vogliono appropriarsi della paternità. L’uomo è fatto così: “Eeeh…l’avevo detto io!”. E’ un po’ la storia dell’uovo di Colombo. Quando tornò dalle Indie furono in tanti a sminuire l’impresa dell’avventuriero italiano, sostenendo che sospinto dai buoni venti che lui aveva incontrato, chiunque sarebbe riuscito ad attraversare l’oceano. Una sera, ad una cena, dopo l’ennesimo attacco, l’ammiraglio propose ai “gentiluomini” che sedevano con lui un gioco: tentare di far mantenere un uovo dritto in equilibrio verticale sopra il piano apparecchiato. Tutti provarono, ma inesorabilmente fallirono. Al che il buon Cristoforo, che non mancava di ironia e sarcasmo, prerogative degli intelligenti, ne prese uno ammaccandolo leggermente alla base e una volta poggiato rimase ritto. Uno degli commensali s’alzò rabbioso: “Eh! Ma così l’avremmo potuto fare anche noi!”….”Voi avreste potuto farlo” rispose Colombo, “io l’ho fatto!”.

 

La storia della Scienza è piena zeppa di vicende del genere. Due casi su tutti, i primi che mi vengono in mente: chi inventò il telefono, Bell o Meucci?…E la radio? Tesla o Marconi? Edison, per esempio, quello della lampadina, si racconta che s’appropriò di non so quante idee geniali partorite da altri visionari, solo che lui disponeva del denaro e delle “giuste” persone per accaparrarsi i brevetti, dunque anche il merito di quelle invenzioni. La solita legge della giungla….ahahah…..

 

Le origini della bicicletta non fa eccezione. Per questo motivo nel 1990 fu istituita la ICHC, la Conferenza Internazionale sulla Storia della Bicicletta, un comitato di storici e studiosi che si riunisce una volta l’anno per fare finalmente chiarezza sulle vicende che hanno caratterizzato l’evoluzione di questo stupefacente veicolo.

 

Sembra che dobbiamo l’invenzione della prima bici al barone Karl von Drais, la “Laufmachine”, nel 1817, un’alternativa all’uso dei cavalli soggetti a inedia e decessi dovuti alla scarsezza di risorse alimentari provocate dall’insufficenza dei raccolti dell’anno precedente (1816: l’anno senza estate).

Quel mezzo fu denominato dalla stampa “la Draisina”, in onore del suo ideatore, costruito completamente in legno, con ruote ricoperte da una fascia di metallo, che avanzava spinto poggiando alternativamente i piedi a terra. Il “Velocipede” ebbe un ulteriore sviluppo in Francia intorno al 1860, quando fu costruito un mezzo dotato di pedivelle e pedali applicate sulla ruota anteriore, che aveva un diametro leggermente superiore rispetto a quella posteriore. Nel 1880 si passò al biciclo, con la ruta anteriore dal diametro che arrivava fino ad un metro e mezzo, e quella posteriore di dimensioni molto ridotte. Decisamente più veloce dei modelli precedenti, ma estremamente pericolosa per la sua instabilità e per il fatto che il baricentro era posto troppo distante da terra (non l’ho mai cavalcata ma immagino quanti “crepacciò solo per salire e scendere…ahahah….).

 

Finalmente, nel 1884, John K. Starley realizzò la prima “safety bicycle” denominata Rover, l’antesignana del mezzo che tutti noi conosciamo. Aveva ruote di pari dimensioni, trasmissione a catena sulla ruota posteriore (il che la rendeva di gran lunga più gestibile nelle traiettorie), e due anni dopo munita di pneumatici, grazie all’invenzione che John Boyd Dunlop fece nel 1888: con la gomma al posto del metallo il confort e la manovrabilità fecero un salto quantico.

 

“Io, Michele, pedalo una Vintage (il mio cavallo d’acciajo ha ormai compiuto 27 anni, ma non li dimostra…io invece sì, specialmente in salita!…ahahah…). Ogni volta che ti vengo a trovare mi mostri gli ultimi modelli, sempre più leggeri, più tecnologici..più spaziali! Assomigliano più alle MotoGP che alle biciclette. Che è successo negli ultimi trenta e rotti anni che m’è sfuggito? Che me so’ perso?”

 

“La tecnologia va avanti caro Mamo, non c’avevi fatto caso?…ahahah…L’importante è che continui a pedalare. Poi se un giorno deciderai di iscriverti al Tour de France c’ho il mezzo adatto a te. Non ti faccio sfigurare tra i professionisti, per lo meno in partenza, tranquillo…ahahah…..

 

Volendo ripercorrere l’evoluzione che la bici ha sviluppato negli ultimi decenni, direi che la metamorfosi più “sconvolgente” è avvenuta intorno alla metà degli anni ’80. Da quello che ricordo, fino a tutti gli anni ’70, erano in commercio unicamente due modelli: la bici da corsa, usata dagli sportivi e dagli atleti, e quella da passeggio o da spostamento. Un mezzo di locomozione con due tipologie di telaio, a seconda se era destinato agli uomini o alle donne.

 

A metà degli anni ’80 (parlo del mercato italiano) fece la sua comparsa la Mountain Bike, ideata da tre/quattro pazzi americani che in quegli anni iniziarono a fare dei patchwork smontando componenti di vari modelli e ri-assemblandoli in un nuovo prototipo, adatto a meglio affrontare le discese dalle colline intorno a San Francisco dalle quali Fisher, Kelly, Ritchey e compagnia bella si “tuffavano”. Un veicolo da gioco, diciamo, più che da locomozione, che incontrò immediatamente il favore di tantissimi giovani, ma non solo, di tutto il mondo.

 

Gente che non aveva minimamente preso in considerazione la bici da corsa come svago e divertimento, fu attratta dalla “salta fossi”, e scoppiò il boom. Questa nuova espansione, sarebbe meglio dire esplosione, attrasse sul mercato globale aziende multinazionali (prima tra tutte Shimano) che iniziarono a proporre tecnologie innovative, telai di diversa fattura, componentistica sempre più sofisticata, lasciando un po’ al palo aziende come le nostre Campagnolo e Columbus, per esempio (specializzate all’epoca, come oggi, principalmente in bici da corsa),  che fino ad allora erano le ditte di riferimento a livello mondiale.

 

Ovviamente anche la ricerca di materiali sempre più leggeri e performanti subì una vigorosa accelerazione. Dal semplice ferro utilizzato nelle bici da passeggio e da lavoro (pesantissime), e dagli acciai speciali saldo brasati(Columbus, appunto) impiegati per i mezzi da competizione, si passò all’alluminio (l’italiana Alan e la francese Vitus che assemblavano tubi con la tecnica aereonautica, avvitati e incollati). Naturalmente quei telai flettevano come le “ciccingomme”. I marchi americani, tipo Cannondale e Scott, riuscirono ad ottimizzare la saldatura a tig che rendevano le giunzioni decisamente più prestazionali, e soprattutto molto più sicure. Al contempo le geometrie stesse subirono delle variazioni rivoluzionarie, un po’ per esigenze tecniche, ma molto per ragioni di mercato. Mentre le aziende italiane continuavano a costruire telai standard  “su misura” che andavano dalla 48 alla 60 (la progressione era centimetro/centimetro), dunque 10/12 taglie, i produttori americani semplificarono lo schema costruendo tre/quattro “size” (S, M, L e XL, per dire) in grossi quantitativi (‘mmazzaamericani!…ahahah…) che naturalmente dovevano smaltire molto velocemente, e per questo iniziarono a proporre e a presentare le loro bici nei grandi centri commerciali della grande distribuzione (è questa la tendenza all’estero: meno rivendite specializzate rispetto all’Italia, e più distribuzione di massa..però…).”

 

 

“Oooh!…Fermiamoci un attimo Miche’. Quelle rare volte che entro in un megastore trovo sempre un angolo di rivendita biciclette, magari vicino al reparto giocattoli, o ancora peggio, accanto al settore giardinaggio. I prezzi vanno dai 70 ai 100 euro, praticamente il costo di un sellino di una bici “seria”. Ma quella, che robba è???”

 

“L’hai detto! Un paio di scarpe da ciclista costa quella cifra: ce po’ costa’ ‘na bicicletta?…ahahah….Se ci fosse più cultura, se si conoscessero meglio i prodotti, tutti, in generale, saremmo tutti noi molto più cauti negli acquisti. Quelle “imitazioni” di bici esposte nei centri commerciali sono praticamente dei giocattoli, e anche un po’ pericolosi per certi versi. I tubi utilizzati per il telaio sono praticamente tubi dell’acqua saldati alla bell’e meglio. La componentistica è plastica, neanche della migliore qualità. Anche le vernici utilizzate per le decorazioni credo siano tossiche e, se andiamo bene a guardare, sono veicoli NON a norma di legge (Come facciano a commercializzarli non lo so!). Poi non c’è personale competente che sappia di che cosa si parla. Sai quante volte m’è capitato di vedere esposte bici con la forcella montata al contrario? La casa costruttrice (è una casa costruttrice chi assembla quei pezzi di ferro?) la imballa così per motivi di trasporto (occupa meno volume, quindi scatoloni o confezioni più piccole), ma chi apre quei prodotti dovrebbe sapere che almeno la forcella va girata, invece…….All’estero è diverso, sono più seri. C’è gente preparata tecnicamente e i prodotti sono mediamente di alta gamma, e di conseguenza i prezzi. Si vendono anche modelli economici, ma mai sotto i 4/500 euro. Chi vuoi che regali? Se la bici è di qualità, il costo va su per forza, come tutte le cose, dunque sconsiglierei l’acquisto di quelle “trappole” e rivolgersi ad un negozio specializzato. E’vero che praticare ciclismo deve essere un divertimento, un bel gioco, ma con modelli di infima qualità può diventare una pratica molto pericolosa.”

 

“Eh, certo!…Il consumismo, che brutto fenomeno: si conosce il costo di tutto e il valore di niente. Poveri noi!…ahahah….Torniamo alle cose serie. Mi dicevi che le geometrie iniziarono a cambiare e questo influenzò anche la resa del mezzo. Mi spieghi meglio?”

 

“Per esigenze di mercato, come ti dicevo a proposito dei produttori americani, nacquero le geometrie “Sloping”, cioè quel tubo orizzontale che chiamiamo canna nelle bici da uomo venne inclinato di diversi gradi rispetto alla posizione classica che voleva quel tubo, appunto, perfettamente orizzontale al terreno. Si scoprì in seguito che questa modifica, che accorciava il carro posteriore rispetto al telaio classico, rendendola più compatta, fece si che la bici diventasse molto più reattiva alle variazioni del terreno e alle accelerazioni imposte dal ciclista. Più manovrabile e più scattante, insomma, e la stessa tecnologia fu trasferita nei modelli da corsa, nonostante fosse stata studiata per le mountain bike.

 

Naturalmente anche le aziende che producevano i movimenti meccanici seguirono la progressione dei telaisti, specialmente quando nei primi anni ’90 fu utilizzato quel materiale fantastico che si chiama carbonio. Leggerissimo, resistentissimo ed estremamente pronto alla minima sollecitazione: una favola per chi pedala. Per decenni, se andiamo a guardare le foto, la componentistica di qualità era principalmente Campagnolo: da Fausto Coppi ad Anquetil, da Bartali a Baldini, Gimondi, Merckx, fino a Moser e Saronni, le modifiche erano sostanzialmente su piccoli dettagli, ma il concetto di base rimase lo stesso per più di vent’anni. Con l’arrivo di Shimano ed altre aziende straniere l’asticella evolutiva della meccanica subì un deciso innalzamento, primo fra tutti l’adozione dei pedali a sgancio automatico che scongiurò il perpetuarsi della produzione di “canestri d’ossa rotte” dei ciclisti che cadevano con i piedi allacciati con le cinghiette: quella fu una vera e propria manna dal cielo!…ahahah….

 

Il cambio, scomodissimo con i manettini fissati sull’obliquo, furono trasferiti sul manubrio, un cambio tra l’altro “indicizzato”, a scatto, che non presupponeva più la sensibilità che occorreva nel vecchio meccanismo che assomigliava un po’ alla mancata sincronizzazione delle prime 500 Fiat, che volevano la doppia debragliata, sennò sai le “grattate”!…ahahah….Con il vecchio sistema, se il ciclista non era un esperto, anche nel prevedere gli “strappi” prima di una salita, se perdeva la cadenza quando la strada si inerpicava, poi non cambiava più, la catena faceva fatica a salire sul pignone con più denti.

 

Dopo gli indicizzati comparvero quelli integrati sulle leve del freno, come si usa oggi, e questo rese ancor più semplice la gestione dei giusti rapporti e aumentò il piacere degli “scalatori” (da un po’ esistono anche i cambi elettronici, tipo le moto da competizione: fino a ieri sembrava fantascienza e invece….), e furono montati anche i freni a disco.

In sintesi possiamo dire che l’avvento della mountain bike ha rivoluzionato un mondo considerato di nicchia per decenni, cioè frequentato esclusivamente da coloro che facevano corse, e questo fenomeno ha avvicinato il grande “pubblico” alle due ruote con pedali: da spettatori a protagonisti, in buona sostanza (nel 2011, un anno d’oro, sono state vendute più biciclette che auto).”

 

“Bene! Io che pedalo da tanti anni tante cose non le sapevo: beata ignoranza!…ahahah….Immagino, a questo punto, che ce ne siano tanti altri nelle mie stesse condizioni “culturali” e che, dovendo affrontare per la prima volta l’acquisto di un “cavallo d’acciajo”, abbiano scarse idee e ben confuse sul modello da scegliere. Cosa propone l’esperto?”

 

“Direi, innanzitutto, di porsi una domanda: – Cosa m’aspetto da una bicicletta? -. Solitamente nei neofiti la comitiva che frequenta incide molto. Se i suoi amici vanno per campi, sicuramente sarà attratto da un modello mountain bike. Lo stesso ragionamento vale per chi conosce ciclisti che macinano decine di chilometri al giorno sull’asfalto, e allora tenderà a una bici da corsa. C’è poi chi vorrà un mezzo “ad uso promiscuo”, adatto alle carreggiate, ma stabile ed efficace anche sugli sterrati, una bici a 360° da utilizzare un po’ in tutte le occasioni: in città tutti i giorni o nei luoghi di vacanza al mare, in campagna o in montagna, le così dette Trekking. Esiste inoltre anche l’universo E-Bike, le servo assistite elettricamente ed elettronicamente, che però, anche se le vendo (e non poche) non le posso assimilare a quelle “vere”, dove passeggero e motore sono lo stesso individuo. Lo so bene che sono comode e poco faticose (quasi niente rispetto alle classiche), ma pedalare è un’altra cosa.

Sono diversi i modelli da prendere in considerazione ed ormai il mercato offre pane per tutti i denti.

Personalmente, essendo anche un istruttore, parlo un po’ con chi vuol accostarsi a questa piacevolissima attività, che può essere sportiva, ma anche semplicemente salutare e ludica, poi provo a dare qualche consiglio in base alle mie esperienze, cercando di far chiarezza in un mercato che presenta l’imbarazzo della scelta, sempre tenendo presente l’estremo beneficio che questa pratica apporta al fisico e alla mente.”

 

Nel prossimo numero di REAZIONE A CATENA, Michele andrà più sullo specifico. Tratterà nei dettagli il primo modello della serie, quello da Trekking, da Turismo.

 

Mamo – ph Mamo