PURIFICAZIONE: Mirko Gatrilo

“Ognuno di noi ha un alter ego, un lato della nostra personalità che celiamo, che ci piace nascondere. Nasconderci rende la vita più facile. Tu pensa se tutti noi ci comportassimo come veramente siamo. Sarebbe un mondo pieno di matti.”

Ho conosciuto Mirko un pajo d’anni fa tramite un altro amico pittore, Novecento, che gli fece vedere la rivista che pubblicavo durante una sua mostra.
Gatrilo no è il suo vero cognome, è uno pseudonimo che ha scelto anni addietro per distinguersi da un suo zio che era a sua volta un apprezzato creativo, soprattutto nella ceramica. Quando Mirko mi telefonò per invitarmi a visitare le sue produzioni sentii uno slancio particolare nella sua voce, quasi un appello, come un richiamo.
Il giorno dopo lo raggiunsi nei saloni dove esponeva e ciò che mi colpì al primo impatto furono gli occhi dei volti femminili ritratti: neri, tutti neri come la pece.

“Tutti noi nascondiamo qualcosa, e quel qualcosa è la parte più intima di noi stessi. Spesso non ce ne rendiamo neanche più conto, ma che la zona d’ombra esista ormai non ho dubbi. Alcuni, i più profondi, dedicano tutta la loro vita a combattere il “nemico”, e a volte riescono anche a sconfiggerlo in qualche battaglia, ma mai in maniera definitiva. Ci sono momenti nei quali veniamo provocati nelle parti più sensibili, magari ci trova anche rilassati, e allora non c’è sforzo che tenga, cediamo. Se lungo il tuo cammino incontri un essere che riesce a tirar fuori il tuo lato peggiore…..Consiglio! Allontanalo immediatamente dalla tua vita. Una persona così non deve entrare nella tua esistenza, è la cosa peggiore che ti possa capitare. Chi lo fa una volta lo farà ancora, poi ancora, e un’altra volta, fino a distruggerti. La gente negativa va tenuta alla larga, ignorata.
Quando nei miei quadri dipingo metà volto, non è perché mi sono stancato o ho finito i colori. Mi limito a trascurare il lato spregevole di quel viso, non lo voglio vedere e non voglio che gli altri lo vedano, non mi interessa.”

“Sei originario di Tolentino, ma hai vissuto gran parte della tua vita all’estero. Di solito si torna a casa ad una certa età, come è capitato a me, ma tu sei ancora giovane, cosa t’ha richiamato?”

“Boh, non c’è un motivo particolare, o forse sì, i miei nipoti. Ho vissuto per tanti anni come uno zingaro, inteso come spirito libero, ma sempre lavorando. Dove c’era un’opportunità che mi allettava andavo, sempre curioso di conoscere nuove persone e paesi. Chi non l’ha mai fatto pensa che sia uno spasso vivere così, invece tutto ha un costo. Ad un certo momento ho sentito l’esigenza di vivere la quotidianità di quello che è familiare, delle cose semplici ma forti, che soltanto casa ti può dare. Forse il motivo è questo, solo questo, per il resto vivo abbastanza appartato, sto con le mie tele e le mie ceramiche, lavoro il ferro e i legni vecchi, sto nel mio mondo insomma. Però forse sono tornato anche per recuperare, se ci riesco. Vorrei riallacciare quei rapporti che egoisticamente ho trascurato per troppo tempo, che solo ad un certo punto ho capito quanto fossero importanti.”

“ Quando facevi lo zingaro per lavoro trovavi il tempo per dipingere?”

“Sempre! Ovunque mi trasferissi attrezzavo uno studio, anche piccolissimo, e se lavoravo fino a tardi, dipingevo di notte. Per me i pennelli e le spatole sono una tisana, un farmaco, un calmante.
Ho attraversato tanti momenti brutti. Per superarli qualche volta ho provato anche con l’alcol, sai quando non ce la fai più?…con il risultato che poi stavo peggio di prima. Dipingere mi ha salvato. Una notte, in preda ad una sofferenza indescrivibile, non ho fatto altro che imbrattare tele, non sapevo neanche io quello che stavo facendo, sta di fatto che arrivato il mattino il dolore era scomparso.
Creare un quadro è terapeutico, è come se trasferissi sulla tela le mie angosce, ma anche le gioie, e quando è finito sto bene, mi sento guarito.”

“Fammi capire, anche le gioie ti opprimono?”

“In un certo senso sì. La felicità è effimera. Ci illudiamo che duri chissà quanto, poi inesorabilmente ci abbandona lasciandoci l’amaro in bocca. Questo l’ho capito, allora quando vivo un momento d’estasi prendo subito i pennelli in mano e trasferisco tutte le emozioni che provo sulla tela o su un altro supporto, il primo che trovo, e quando ho finito mi sento leggero, sollevato…..libero.”

“Ti capisco. Chi sente, sente sempre troppo, bello e brutto. Poi con il procedere degli anni qualcuno riesce a trovare un punto di salvezza, un promontorio sperduto sopra il quale alloggiarsi e ripararsi dalle sferzate delle onde di un oceano in burrasca. Qualcuno ce la fa e la può raccontare. A questo punto pensi di aver trovato il tuo scoglio?”

“Per certi versi sì. Ad altre cose non riuscirò mai ad abituarmi.
Quando vivevo al Londra, un giorno, per strada, vidi un uomo steso su un marciapiede, esanime. D’istinto mi diressi verso di lui per vedere cosa fosse successo, ma il braccio di un amico inglese che avevo a fianco mi bloccò: “Non te ‘mpiccia’, lascialo stare, potrebbe causarti dei guai”.
Ho vissuto in tante grandi città, di diversi continenti, ma per viverci ancora non ho più le forze, non voglio più ridurmi come uno zombie.
Ora sono a casa. So che il viaggio non è finito e non so cosa m’aspetta domani, ma la strada da percorrere la traccio io adesso. Intanto racconterò a modo mio quello che ho vissuto, senza rimorsi e senza rimpianti, sperando che qualcuno mi capisca.
Ti dico una frase para para come l’ho letta, e la ripeto perché l’ho fatta mia:
Sono contento di tutte le mie cicatrici, perché mi fanno capire che sono vivo.”

Caro Mirko, ognuno di noi, su questa terra, deve imparare il mestiere dell’Alchimista. Intanto, il quadro che m’hai regalato lo metto in copertina. Il prossimo incontro, al bar…..ahahah…..

Mamo