L’APPRENDISTA FAVOLOSO: Nando Ottavi

Quando si pensa all’America vengono in mente le megalopoli con i loro grattacieli, le distese sconfinate di una Natura selvaggia, la musica Country, e i self made man, uomini che hanno raggiunto le vette dell’economia mondiale pur partendo da situazioni tutt’altro che favorevoli, realizzando quello che viene denominato “il sogno americano”.
In realtà, per trovare personaggi del genere non c’è da fare tanta strada. L’Italia ne ha “sfornati” tanti. Uomini capaci, ingegnosi, visionari, forti delle loro convinzioni nonostante tutto, quelli che io definisco “ i tignosi”, coloro che dispongono di quel particolare atteggiamento mentale che permette di realizzare “qualsiasi” obiettivo. E’ grazie a loro se il nostro Paese ha saputo guadagnare una posizione privilegiata nell’ interesse planetario.
Andai a trovare Nando Ottavi per scoprire chi fosse realmente il Presidente della Nuova Simonelli (una delle più quotate aziende produttrici di macchine da caffè) nel momento in cui era anche Presidente di Confindustria Marche.

“Presidente! Sono abituato a tajà corto: mi racconta la sua storia?”

“Benissimo! Niente di più facile.
Entrai in quella che allora si chiamava la “Orlando Simonelli” quand’ero molto giovane, nel ’63.
Nel 1971, quando il signor Orlando aveva ormai raggiunto quell’età nella quale non si ha più voglia di stare dietro agli affari, io ed altri colleghi dipendenti costituimmo una società per rilevare il Marchio e continuare a produrre macchine da caffè, attività che eravamo convinti di saper svolgere. Fui da subito nominato amministratore e presidente di quella società che poi diventò la Nuova Simonelli, e da 45 anni (ormai 48) ricopro questo incarico.”

“Con la nuova conduzione quali furono i cambiamenti?”

“La vecchia Simonelli era sorta nel 1936 e durante i 35 anni di attività la sua politica aziendale non aveva subito grandi cambiamenti. All’epoca non esistevano i bar come li conosciamo oggi. Le macchine da caffè venivano per lo più distribuite nelle taverne e nelle cantine dell’epoca, luoghi dove si andava prevalentemente per mangiare e bere qualcosa, ma non espressamente per bere un caffè. La produzione veniva venduta in un territorio abbastanza ristretto, prevalentemente nelle Marche e nelle regioni limitrofe: Umbria, Lazio e Abruzzo.

Pensammo che probabilmente ci si potesse spingere oltre e così, come prima operazione, formammo dei commerciali che battessero l’intero territorio nazionale, e qualcuno anche l’estero. Ovviamente all’inizio non fu un’impresa facile.

Nel ’75, grazie all’intervento di un funzionario dell’ICE, fummo contattati da un imprenditore americano che ci telefonò chiedendo di poter visitare il nostro piccolo stabilimento e prendere visione di ciò che producevamo.
Quella visita ci permise di chiudere il primo contratto con gli Stati Uniti: fu la svolta.
Creammo una consistente rete commerciale composta da giovani marchigiani arrembanti, ragazzi ambiziosi e desiderosi di conquistare il mondo. Parallelamente ampliammo il settore sviluppo & ricerca per produrre macchinari sempre più all’avanguardia. Eravamo tutti euforici e desiderosi di affermarci come marchio di qualità e prestigio.”

“C’è sempre un momento chiave, vero sor Nando? Questo l’ho capito pure io…ahahah….Mi parli della Nuova Simonelli allo stato attuale.”

“L’azienda occupa ormai centinaia di collaboratori. Il 90% della produzione è destinata all’estero ed esportiamo in 117 Paesi dei 5 Continenti. Negli ultimi periodi abbiamo sviluppato importanti contatti nel Sud-Est asiatico: Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea, Thailandia e Cina, mega nazione quest’ultima che non pensa solo a produrre e ad esportare, ma anche molto interessata ai prodotti di qualità di fattura italiana.”

“Ho notato che negli ultimi anni vengono aperti all’estero sempre più locali dove si può trovare un buon espresso: è un tentativo espansionistico delle aziende italiane o c’è una vera domanda da parte dei popoli di quelle nazioni?”

“Direi che c’è un po’ da sempre la tendenza da parte delle genti di altri Paesi di apprezzare i buoni prodotti italiani, e il caffè, come lo facciamo noi, è uno di questi. Nel settore alimentare siamo fortissimi. C’hai mai fatto caso? Ovunque tu vada, espresso, pizza, spaghetti, cappuccino, sono termini che non vengono mai tradotti nelle lingue dei vari Paesi dove questi alimenti vengono consumati. Mantengono il termine originale perché proprio significazione di italianità.

La grande diffusione dell’espresso e del cappuccino è in parte dovuto anche al WBC, il Campionato Mondiale dei Baristi, una kermesse di professionisti provenienti da più di 60 Nazioni che ogni anno si danno appuntamento per confrontare le rispettive abilità nella preparazione di bevande a base caffè.

E’ proprio di questi giorni ( era il 2015) la riconferma dell’utilizzo delle macchine Nuova Simonelli e Victoria Arduino (altro marchio storico dell’azienda) per il triennio 2015/2017 nei Campionati della WBC. Siamo molto orgogliosi naturalmente che la scelta sia ricaduta su di noi, anche s e stona un po’ il fatto che la manifestazione sia stata ideata da una equipe statunitense. Sai cosa significa questo fatto? Che nonostante siamo molto bravi ad inventare e a produrre, non lo siamo altrettanto nel promuovere e divulgare. Non sappiamo venderci insomma, e sotto questo aspetto l’Italia deve crescere molto.”

“Lei è Presidente di una S.p.A., è Presidente di Confindustria Marche, ed è stato Presidente della Comunità Montana Monti Sibillini composta da 15 Comuni.
Che tipo di differenze ci sono, se ce ne sono, tra le varie presidenze?”

“Le differenze sono sostanziali. Essere Presidente di un’azienda che produce e commercializza dei beni di consumo presuppone una notevole dote di dinamismo intellettuale. Innanzitutto la flessibilità del tempo: non esistono né orari, né giorni festivi. Bisogna essere capaci di prendere decisioni nell’immediato, essere curiosi e attenti alle minime variazioni di mercato e pronti a cambiare rotta se le circostanze lo richiedono, perché ciò che è valido stasera potrebbe non esserlo più domattina.

L’obiettivo costante di chi fa l’imprenditore è la continua crescita aziendale per soddisfare le richieste dell’impresa, degli azionisti e di coloro che ci lavorano. Guidare un’azienda nel mercato globale impegna molto, e se non si nutre una passione sviscerata, quasi maniacale, per quello che si fa, non si resiste a lungo.

La presidenza della Comunità Montana invece richiede un ruolo più pacato, di mediazione principalmente, più “politico” diciamo.
Precedentemente a quell’incarico ero stato anche Sindaco della mia cittadina e quell’esperienza mi tornò molto utile in seguito.

Quando si devono curare gli interessi di 15 Comuni, ognuno con le proprie caratteristiche ed esigenze, è necessario assumere una posizione “super partes”, che non privilegi una comunità a scapito di un’altra, rimanendo comunque capaci di risolvere i vari problemi senza creare attriti e stimolare campanilismi.
Anche in quell’occasione l’impegno fu notevole, anche se, come ripeto, diverso da quello aziendale.

Come Presidente di Confindustria Marche ho dovuto assumere un atteggiamento ancora distinto rispetto ai due casi già citati.
Innanzitutto occupo questo incarico nel momento più infelice degli ultimi 50 anni dell’imprenditoria italiana e non solo.

Nonostante il nostro compartimento manifatturiero sia ai primi posti in Europa e nel mondo, ci sono tantissime aziende in difficoltà che richiedono risposte rapide ed efficaci.
Come loro rappresentante il mio interlocutore è sostanzialmente la Regione, organo statale “abituato” a tempi di risposta decisamente diversi rispetto alle dinamiche di chi fa impresa, molto meno snelli, “burocratici”.

I problemi che devo affrontare sono di carattere sociale di estrema delicatezza. Se un’azienda chiude, non si perde soltanto un pezzo di storia che non tornerà più. Decine, centinaia, migliaia di famiglie perderanno l’opportunità di vivere una vita dignitosa, fenomeno che non dovrebbe mai verificarsi in una società avanzata che abbia la pretesa di definirsi tale.”

“Ci sono tanti, troppi ragazzi alla deriva nel nostro Paese che hanno difficoltà ad imboccare la propria strada. Quali sono i suggerimenti di un uomo della sua esperienza?”

“Bella domanda, sì!
Provo a rispondere. Credo che dovremmo tornare alla cultura del lavoro, cosa che negli ultimi anni è stata del tutto dimenticata.
Buona parte delle responsabilità le attribuirei al sistema scolastico che non ha saputo adeguarsi ad un mondo che stava cambiando ritmo a velocità sostenuta. La mia impressione è che i giovani diplomati e laureati escano dagli istituti d’insegnamento con troppa teoria in testa e scarsa, se non nulla, cognizione pratica.

Un sapere senza applicazione non è un sapere.

La scuola dovrebbe introdurre i giovani studenti nelle aziende, nelle fabbriche, nelle botteghe artigiane fin dalle prime classi. Sarebbe un ottimo sistema per accostarli gradatamente ai tanti tipi d’attività (non per niente si chiamano “attività”) che loro stessi un domani potrebbero svolgere ed ampliare.

Ci sono lavori estremamente gratificanti che potrebbero risolvere tanti problemi d’occupazione, ma nessuno li vuol più fare.
Cosa c’è di sbagliato nel voler essere un falegname, un fabbro, un pasticcere, un idraulico, un panettiere? Sono tutte attività ben remunerate, ma guarda caso vengono svolte da persone che provengono da altri Paesi, che tanti problemi non se li fanno.
Bisognerebbe attenuare un po’ i toni dell’ambizione e rivolgersi un po’ più al concreto.

Quelli della mia generazione, e ne sono tanti, non si sono mai risparmiati. Anche se abbiamo vissuto periodi dove non c’era niente e tutto doveva essere costruito, non ci siamo mai posti il problema se un determinato lavoro fosse più o meno di “prestigio”. Tanti di loro oggi sono il fiore all’occhiello dell’imprenditoria italiana che onora in nostro Paese nel mondo.

Non ci sono segreti o suggerimenti particolari per riuscire in una determinata impresa, se non impegno, impegno…e impegno.
Ho cominciato la mia carriera da apprendista, dunque conosco la strada.”

Lo slogan della rivista che pubblicavo era:
“Gente straordinaria di una terra straordinaria”.
Non l’avevo coniata perché fosse una frase ad effetto. L’avevo pensata perché guardandomi intorno così è.

Mamo

P.S….la foto l’ho presa dal WEB. Io quel pomeriggio gliene avevo scattate diverse, poi, tornato a casa la sera, pensai di scaricarle eee….Tasto sbagliato: le cancellai tutte, tanto che il giorno dopo telefonai alla segretaria de sor Nando pregandola di mandarmene alcune per la rivista….Che voi fa?…Cazzata più, cazzata meno…ahahah…