“ Recentemente ti sei ritirato dalle competizioni e ti sei dedicato all’imprenditoria qui da noi, nella nostra terra, dove trascorri gran parte del tuo tempo. Non ho domande specifiche da farti Marco perché le curiosità sono talmente tante che dovremmo trascorrere qualche settimana insieme. Come raccontiamo i tuoi 23 anni da professionista, come raccontiamo l’atleta Marco Meoni?”
“ Beh…vista a posteriori riesco ad analizzare la mia carriera in maniera più oggettiva rispetto a quando ancora giocavo. E’ successo tutto in maniera molto naturale, come capita a tanti ragazzi che iniziano a praticare uno sport. Forse nel mio caso è successo tutto più in fretta; dai campetti patronali dove giocavo con i miei amici mi sono trovato in breve tempo in serie A. Ti voglio correggere su un termine: io non sono un atleta, io sono un pallavolista, la cosa è diversa.”
“ Ah!..non sei un atleta…Sto invecchiando, questa non l’ho capita.”
“ Si, perché la pallavolo ha una tecnica talmente raffinata che non è necessario essere degli atleti, nel senso stretto del termine. E’ chiaro che fisicamente devi star bene ma personalmente non mi sono mai ritenuto un atleta, i miei standard non hanno mai raggiunto i livelli internazionali ma ho sempre compensato con la mia visione di gioco, con la capacità tattica che nel mio caso è innata e che ho affinato sempre più nel tempo. Io ho giocato fino a 40 anni e quelli della mia generazione, alcuni, sono ancora lì, in A.”
“ Non per niente la vostra è chiamata la generazione dei “fenomeni”. Conosco qualche sport individuale per averlo praticato da giovane, ma non ho esperienze di squadra; cosa vuol dire essere il regista di un team?”
“ Credo che sia una mia caratteristica peculiare quella di condividere con il prossimo qualsiasi tipo d’emozione e di situazione; per carattere a me piace dare e ricevere e forse devo a questo mio aspetto una certa facilità di comunicazione con le persone, una comunicazione anche non verbale. Questo mi ha permesso, fin da quando ero ragazzino, di entrare subito in empatia con i miei compagni di squadra, che è fondamentale per un palleggiatore, per un regista, ruolo che ho sempre ricoperto in tutta la mia carriera. Ovviamente queste sono qualità che con il tempo si sviluppano, tanto che quando ho raggiunto la mia piena maturità sportiva, intorno ai 29/30 anni, ero in grado di capire già entrando negli spogliatogli come avrei dovuto impostare la tattica di gioco senza parlare, mi bastava guardare i miei compagni negli occhi. Ti dirò di più. Questa sensibilità che ho sviluppato nello sport ora mi aiuta molto anche nel lavoro, e questo è un concetto che non tutti sono in grado di capire. La gente comune pensa che quando uno sportivo smette di gareggiare si ritrovi come un pesce fuor d’acqua nel quotidiano. Posso assicurare che invece lo sport non insegna unicamente l’abilità in una certa disciplina; la pratica dello sport insegna a vivere. Fortunatamente qualcuno lo capisce e lo dimostra il fatto che spesso grandi aziende mi consultano per acquisire metodologie che solo chi proviene dalle competizioni può conoscere.”
“ Ad uno come te, che è stato il numero uno al mondo per tanto tempo, lo sport cosa ha insegnato?”
“ Innanzi tutto a valutare le cose, il vero valore nascosto dietro le apparenze. Questa è una cosa che ho capito alle Olimpiadi di Pechino. Ho assistito alla finale di nuoto dei 200 s.l.; alla premiazione è facile essere la moglie di Michael Phelps, l’atleta più titolato nella storia delle Olimpiadi moderne, ma quello che mi ha fatto riflettere è la gioia della moglie del nuotatore che è arrivato ottavo. Quel nuotatore sapeva benissimo che avrebbe perso quando è entrato in vasca, ma ciò nonostante ha tirato come un ossesso dall’inizio alla fine. Ho imparato a valutare le situazioni al di là del risultato. La medaglia è importante, OK, ma più importante è il cammino che si percorre per provare a conquistarla. Ti faccio un esempio: a livello internazionale ho vinto molto ma in Italia un solo scudetto in A, quello con il Piacenza. Nella 5° partita della finale dei Play Off eravamo sotto 11 a 13, poi un paio di muri e due punti conquistati in battuta ci ha permesso di ribaltare il risultato e conquistare il titolo. Eravamo i campioni d’Italia ma io di quelle 4 ultime palle non ne ho toccata una; se avessimo perso in realtà la mia partita sarebbe stata la stessa, ma come pensi che mi avrebbero giudicato? Bisogna imparare a riconoscere la verità, questo lo sport me lo ha insegnato. Un’altra cosa che ho imparato è che esistono troppi voltafaccia nella gente che incontriamo, e di questo non me ne farò mai una ragione; L’ipocrisia è l’arma spuntata dei deboli, di chi non ha nessuna capacità e non prova minimamente a migliorarsi; basta vedere come qualcuno mi trattava finché ho giocato e come si è comportato appena ho smesso.”
“ Mi parli della BESTIA?”
“ E’ una cosa terribile! Ora che ne sono uscito sono convinto che sia stata la mia vittoria più importante. Ero ai vertici mondiali, il più quotato pallavolista in circolazione e mi ha assalito senza nessun preavviso. A chi non ha mai provato le crisi di panico non si può spiegare questa esperienza con le parole. Ne sono uscito con uno sforzo immane e grazie all’aiuto di Daniela Novella, una psicologa che mi ha tratto in salvo sull’orlo del baratro. Prima credevo che ogni medaglia avesse due facce, ora so che ne esiste una terza, latente, che non sospetteresti mai, ma è lì, pronta ad incul…. quando meno te l’aspetti. Ora mi sento più forte di prima e se il MOSTRO dovesse ripresentarsi ho gli strumenti per combatterlo. Ora che ho smesso con le competizioni la gente pensa che io abbia smesso anche di giocare, ed è completamente sbagliato; sono più preparato di prima, solo che non gioco più con la palla.”
La storia ci insegna che tutti i grandi spiriti hanno dovuto attraversare almeno una volta l’inferno. Non tutti ce la fanno ma chi ne esce è destinato a creare un mondo migliore… ”Molti i chiamati, pochi gli eletti.” Grazie Meo… un abbraccio campione.
Mamo