GIOCO ANCORA…CON I RICORDI: Roberto Ricca

I racconti di un calciatore che non ha mai dimenticato le esperienze vissute con le squadre della nostra regione: le Marche

 

Ogni volta che ho qualche giorno libero mi metto in viaggio percorrendo i 550 chilometri che mi separano da Macerata, città che per diverse ragioni porto nel cuore e, come per incanto, quando il cartello indica che sono entrato nelle Marche, il viaggio si fa più piacevole, mi assalgono i ricordi di un passato sportivo trascorso in gran parte in questa regione.

E’ così che, un giorno discutendo di queste sensazioni con Mamo, ci è venuta l’idea di descrivere questo itinerario, da Pesaro ad Ascoli, andando a “toccare” le società calcistiche marchigiane che, in un modo o nell’altro, hanno segnato il mio percorso sportivo.

Partiamo da Pesaro. Sono approdato alla VIS nella stagione 2000/2001; la Società aveva appena vinto il campionato di C2 e dunque passava all’allora serie C1. Io ero reduce da una buona stagione da un’altra compagine bianco-rossa, la mia amata Macerata, dove mi ero messo in luce segnando 9 reti. A Pesaro, in due mezze stagioni, ho avuto come Mister due personaggi che, in momenti differenti, hanno toccato le vette più alte del calcio nazionale: Daniele Arrigoni che ha allenato in serie A squadre come il Bologna, Cesena e Torino, e Patrizio Sala che, oltre essere stato uno dei protagonisti dell’ultimo scudetto del Torino, ha giocato i Mondiali del ’78 in Argentina.

Purtroppo la mia permanenza a Pesaro non è stata delle più positive; forse non avevo le caratteristiche richieste dai Mister, o forse mi piace pensare che le cause del mio scarso rendimento furono legate al fatto che non riuscii ad impormi come avrei dovuto. Non lo so, ogni tanto ci ripenso e sono sempre pronto a fare dell’autocritica, anche perché è l’unico modo che conosco per crescere. Lo stadio era il “Tonino Benelli”, un impianto all’interno della città il cui campo era circondato da una pista che pareva un velodromo. Ricordo il grande entusiasmo dei tifosi, motivato anche dal fatto che la squadra si confrontava contro autentiche “corazzate” per la serie C1,Palermo, Catania, Messina, Ascoli, giusto per citare alcune compagini che negli anni successivi hanno raggiunto la serie A. Pesaro, città meravigliosa divisa in due: da una parte la zona estiva con i tanti stabilimenti balneari e  la Baia Flaminia dove c’era un locale che faceva le piade  più buone che abbia mai mangiato, poi la zona centro, molto signorile ed elegante, con i suoi splendidi caffè e le boutique.

Scendendo di poco verso sud ecco Fano. Ho avuto l’onore di giocare nella squadra granata dal gennaio del 2002 fino al termine del 2003, vincendo il campionato di serie D grazie ad una mega stagione la prima, e centrando la salvezza ai playout l’anno successivo. L’allenatore del campionato vittorioso era Luca Gaudenzi, ex giocatore del Milan di Sacchi, grandissimo motivatore, capace di trasmettere entusiasmo e grinta in quantità industriali. Nella stagione della C2 si sono succeduti Giancarlo Favorin e Ubaldo Righetti, grande giocatore della Roma scudettata di Liedolm e protagonista di una storica finale di Coppa Campioni.

Di Righetti ho un ottimo ricordo, sia come allenatore competente e preparato, sia come gran signore sotto l’aspetto umano; se non erro anche lui ha deciso di rimanere a Macerata.

Lo stadio era il Mancini, un fortino con una curva per i tifosi locali che ricorda gli stadi inglesi. L’entusiasmo dei suoi supporters, i Panthers, era contagioso ed emozionante. Fano è una cittadina che mi piace tanto, uno di quei posti dove vivrei per tutta la vita. Ricordo il corso, le mura Romane, la bellissima spiaggia e l’entroterra collinare.

Mi rimetto in viaggio ed ecco Senigallia e più all’interno Cagli. In quegli anni Vigor e Cagliese erano formazioni ostiche da affrontare: quanti duelli! Tanti i calciatori di alto livello che hanno militato in queste due formazioni. Tra i tanti ricordo Giovanni Cornacchini, l’attuale Mister dell’Ancona, grande falco delle aree di rigore, che in carriera ha gonfiato centinaia di reti, indossando le maglie di Milan, Piacenza, Perugia, Fano, Vicenza. Ternana, vincendo parecchie volte la classifica cannonieri.

Eccoci arrivati ad Ancona, altra bellissima città, tutta da passeggiare, dal porto al Passetto. Mi è giunta voce che in passato ci fosse stato un interessamento nei miei confronti da parte della squadra Dorica; peccato non si sia concretizzato nulla. Ancona ha conosciuto per tanti anni le massime serie, A e B, poi un lento declino l’ha trascinata nell’inferno del calcio dilettantistico, ed ora sta tentando di risalire la china.

Scendendo ancora arriviamo a Macerata; diciamo subito che insieme a Catania rappresenta la tappa più bella della mia modesta carriera calcistica. Per raccontare quello che mi ha regalato il vestire i colori della ROTA non basterebbe un libro. Ricordo i compagni di squadra, Mister Dino Pagliari, il DS Silvio Barbieri, il Presidente Stefano Monachesi, Danilo Bozzi che gestiva il manto dell’Helvia Recina, i ragazzi della curva; e poi, particolare non trascurabile, ho trovato una splendida moglie…scusate se è poco! Insomma, per farla breve, Macerata la sento come casa mia, molto più di Novara, città dove sono nato e dove ora, per motivi di lavoro, risiedo.

Andando verso l’interno troviamo Tolentino. Ho affrontato la squadra cremisi quando militava in serie C2, a metà degli anni ’90. Cittadina medievale molto caratteristica, è la città di San Nicola, santo cui mia moglie è molto devota, e proprio nella cattedrale a lui dedicata ho sposato Maria Grazia.

Tornando sulla costa eccoci arrivati a Civitanova. Cominciamo col dire che è la meta preferita dei miei scorrazzamenti marini; mi piace il carattere e il modo di fare dei civitanovesi. Calcisticamente parlando a Citanò mi sono reso protagonista di un episodio non molto edificante: dopo una partita Civitanovese-Fano, il portiere di riserva dei rossoblu si rivolse ai tifosi del Fano, squadra della quale vestivo i colori, schernendoli e deridendoli con gesti poco amichevoli. Non me ne accorsi personalmente ma mi fu riferito da un compagno di squadra; a quel punto mi trasformai nel “giustiziere della curva”: lo rincorsi e, come si dice, lo presi per le “recchie”! Non me ne vogliano i pesciaroli…era una questione d’onore tra me e lui che aveva sbeffeggiato i nostri tifosi; giuro che avrei fatto la stessa cosa se avessi indossato la maglia rossoblu. Il calcio allora come oggi è per me sinonimo di sacrificio, umiltà, riconoscenza nei confronti dei sostenitori, grazie ai quali e senza i quali il nostro sport non sarebbe niente.

Scendiamo ancora lungo l’Adriatica e una volta arrivati a Porto San Giorgio percorriamo una ripida salita che ci porta a Fermo. Alla fine degli anni ’90 la Fermana ha toccato l’apice della sua storia approdando addirittura in B. Ho affrontato i canarini in C, e devo ammettere che il calore del Recchioni mette la carica ai giocatori di casa e desta una certa apprensione negli avversari.

Proseguendo verso sud siamo quasi giunti a San Benedetto del Tronto. Nella riviera delle palme dovevo andare a giocare dopo il mio primo anno a Pesaro; mi aveva chiamato mister Giovanni Mei, fanese doc, che avevo avuto come allenatore a Catania e con il quale avevo condiviso gioie  e dolori calcistici quasi romanzeschi. Gianni Mei, un grande uomo; anche se non ci sentiamo e vediamo quasi mai è sempre nel mio cuore e rappresenta un punto di riferimento della mia vita sportiva.

Per raccontare la grandezza di questo uomo voglio raccontare un aneddoto.

Mei qualche stagione fa era allenatore in seconda del Parma, in serie A. Una domenica si giocava Novara-Parma e prima che le squadre si trasferissero allo stadio andai con la famiglia all’albergo che ospitava i ducali; volevo salutarlo ma, in cuor mio, non avevo grandi speranze di riuscirci, talmente era blindato quell’hotel, e anche se avessi superato i controlli erano passati 16 anni dall’ultima volta che mi aveva allenato. Qualcuno mi riconobbe, così non fu difficile arrivare alla reception; chiesi di lui e, poco dopo, uscì dalla camera correndomi incontro, mi abbracciò e uscimmo di fuori sul piazzale dove erano assiepati un mare di tifosi.

Volle conoscere mia moglie e i miei figli e, sapendo che ero di Novara, quasi si arrabbiò del fatto che non ero andato a trovarlo la sera prima per stare a cena e trascorrere qualche ora insieme. Addirittura ancora si ricordava di una mia Fiat TIPO alla quale i tifosi del Catania avevano appiccicato gli adesivi del loro club. Grande Mister…grande uomo, anche lui marchigiano. Maria Grazia dice che i marchigiani hanno la memoria degli elefanti, che se ti sei comportato bene con loro, non lo dimenticano, e così se hai fatto loro qualche sgarbo.

Ma torniamo alla Sanbenedettese: per il calore e l’amore che i tifosi provano nei confronti della loro squadra meriterebbe di frequentare i quartieri alti della serie A; purtroppo questo onore non è stato mai contraccambiato da chi è stato al timone della società.

Infine Ascoli. Per un vecchietto come me, dire Ascoli è dire Costantino Rozzi, quel grande uomo che era alla guida della società negli anni ’80 e che aveva portato la squadra in Serie A, facendo indossare la gloriosa casacca bianconera a giocatori fantastici come Giordano, Casagrande e Lorieri. Ad Ascoli ho fatto il CAR del servizio militare, e da giocatore ho affrontato diverse volte i bianconeri. Oltre alle sfide sportive, di questa città ho il bellissimo ricordo della sua splendida piazza, Piazza del Popolo, e della manifestazione storica, la Quintana, che ogni anno sfila lungo le vie del centro e trova la sua massima rappresentazione proprio su quella piazza-salotto: è un evento al quale bisognerebbe assistere almeno una volta nella vita.

 

E’ così terminato il mio viaggio lungo i circa 300 chilometri nelle Marche del pallone e vorrei fare una considerazione finale: posti e persone che una volta conosciuti te ne innamori, ti rimangono dentro come i ricordi di quando si è bambini e prima o poi quei posti e quelle persone le devi rivedere.

Ah!….dimenticavo un’ultima cosa: spero che un giorno gli scarpini da calcio tornino ad essere di colore nero, come lo erano le mitiche, pratiche, inimitabili “Pantofole d’Oro”, prodotte da una storica azienda calzaturiera, guarda caso marchigiana.

(Un lavoro a quattro mani……)….Mamo & Roberto