In un momento come quello che stiamo vivendo l’umanità ha bisogno di una nuova ragione creativa. La parola arte è stata troppo spesso associata ad illuminazioni improvvise ed irrazionali: chi non ha quasi sempre considerato l’artista un soggetto “caldo e istintivo” in contrapposizione allo scienziato “freddo e razionale”?
Eppure anche in passato non vi era alcuna contrapposizione tra la dimensione estetica e quella scientifica, anzi questa assenza di dualismo tra arte e scienza è perfettamente identificabile nel termine greco Techne, che oltre essere equivalente al latini Ars, tiene in sé il concetto di scienza e tecnologia. E’ nella parola arte che si rinviene la competenza tecnica del mestiere quale la precisione dell’orafo, la conoscenza del corpo umano e dei materiali da parte del pittore e dello scultore, la conoscenza della prospettiva e dello spazio dell’architetto, basti pensare a Leonardo da Vinci che oltre ad impersonare forse più di ogni altro lo scienziato-artista ci dice che dove la natura cessa di creare, l’umanità comincia, utilizzando cose naturali, con l’aiuto delle quali crea un’infinità di cose nuove.
Quando penso alla correlazione tra sapere scientifico e sapere umanistico, a quelli che solo falsamente sembrano due modi distinti di esprimere il reale, non posso poi pensare a Van Gogh: nel momento in cui Vincent viene a conoscenza della griglia prospettica (uno strumento, una sorta di cornice vuota con fili intrecciati verticali, orizzontali e diagonali al suo interno che consentivano di scomporre e comporre le immagini) utilizzata da un pittore tedesco Albrecht Durer, ne volle immediatamente una, perché essa avrebbe fornito perfetta indicazione delle linee principali e delle proporzioni, almeno per coloro che hanno un istinto per la prospettiva. La prospettiva diventa così un atto creativo, espressione necessaria per l’artista e lo scienziato che ugualmente procedono nelle loro attività quotidiane ad un processo di decodificazione della realtà e a una successiva ricomposizione.
Ma il link tra arte e scienza non può essere circoscritto a Leonardo e Van Gogh. Picasso ad esempio viene sicuramente influenzato nelle sue interpretazioni artistiche da Einstein: il Cubismo, che può essere definito anche un programma di ricerca, seppur non legato direttamente, ha risentito pesantemente della teorie di Einstein della Relatività.
Lo si apprezza facilmente quando vediamo come i pittori cubisti rappresentino su una stessa tela tanti punti di osservazione differenti.
Il legame tra arte e scienza è ancora più evidente se andiamo a speculare quando l’uomo inizia a produrre arte: alcuni riconducono l’inizio ai pittori paleolitici, ad esempio quelli che hanno dipinto le Grotte di Lascaux, splendide caverne della Francia sud-occidentale.
In alcune grotte, ancor più antiche, sono stati scoperti recentemente pigmenti quali l’ematite rossa (ossido idrato di ferro) e l’ocra giallo (ossido idrato di ferro) entrambi facilmente e naturalmente reperibili nelle rocce e nei terreni, ma anche carbone, derivato invece dall’uso del fuoco e prodotto “industrialmente” solo quando l’uomo ha avuto controllo sul fuoco, quando l’uomo ha iniziato a studiare e proporre reazioni chimiche.
Nel neolitico fece poi la sua comparsa il bianco, carbonato di calcio, ottenuto da ossa di animali domestici calcinati attraverso primi semplici processi chimico-fisici. Per applicare tutti questi pigmenti si faceva uso di grasso animale. E’ bello pensare, come dice l’amico Alessandro Delpriori, che il bianco (e quindi l’arte) nasca non solo insieme alla pastorizia, ma nasca perché nasce la pastorizia: se la scienza nasce per capire la realtà, l’arte è la rappresentazione artistica per farla capire agli altri, per lasciarla raccontata.
Di questo ed altro si è discusso con Alessandro Delpriori durante la Notte dei Ricercatori organizzata dall’Università di Camerino il 26 settembre 2014, presso il museo Piersanti di Matelica.
Alessandro, oltre ad essere il sindaco della città di Matelica, è un eccellente ricercatore e storico dell’arte che ci ha fatto percorrere un entusiasmante viaggio tra affascinanti dipinti egiziani, tra tavole del ‘300 e meravigliose tele del Rinascimento Italiano, fino ai più recenti dipinti da Van Gogh e Monet, non solo raccontando gli aspetti segreti e intriganti presenti nelle opere note e meno note al grande pubblico, ma anche mostrando quelle che erano le innovazioni tecnologiche (nuovi pigmenti, nuove tecniche, nuove ricette) che di volta in volta venivano utilizzate dagli artisti: dalla scoperta della biacca, pigmento fortissimo di colore bianco prodotta dagli Egizi con piombo, aceto e concime animale, al cromato di piombo dei girasoli di Van Gogh, instabile chimicamente e fotochimicamente, il cui degrado sta tanto preoccupando la comunità scientifica.
E’ stat una grande occasione per dimostrare come oggi lo scienziato possa portare il proprio contributo alla società civile, anche nel recupero di opere d’arte, restaurate in passato con troppa superficialità e con scarsa conoscenza dei materiali utilizzati e/o necessari per il restauro stesso, un colloquio a due voci accompagnato e intermezzato da un fantastico calice di Verdicchio ed eccellente musica jazz.
Claudio Pettinari